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fotoGraziaSistemando questo catalogo, mi sono resa conto che inconsciamente, già dai miei primi quadri, dopo aver abbandonato quasi del tutto il figurativo, che rimane nei ritratti, istintivamente ho seguito alcuni filoni.
Nell’astratto all’inizio ho esplicitato varie denunce: ambientaliste, pacifiste, ma anche di misericordia vero gli “Ultimi”.
Ho parlato della stupidità del genere umano nella mancanza di rispetto verso la natura. Da qui quadri dai titoli significativi come: Due soli, Albero solitario, Pensieri azzurri.
Sono andata sul tema delle guerre di religione con: Twin Towers. Ho trattato la Misericordia con Vela in cui si osservano uomini distrutti dalla guerra, che ambiscono a volare via, appunto con una vela immaginaria, che li possa trasportare lontano.
Ma anche con L’albero della vita, che è una metafora, in cui un albero offre ombra e ristoro ad una donna profuga col suo bimbo.
Talvolta mi sono lasciata catturare da una specie di estasi nell’osservazione di albe o tramonti che mi avevano colpita, come Rosso
 debole come il sole, Alba chiara o dalla celebrazione dell’arrivo della primavera, da cui sono nati: Primavera vien danzando o Movimenti verdi...
In certe circostanze mi sono lasciata andare ai ricordi, a certe malinconie che mi prendevano quando mi recavo a Po, passeggiavo per i sabbioni desolati, talmente arsi da sembrare deserti sahariani, tra il limo che si era seccato, nonostante la vegetazione a due passi. Da cui: Il mio argine, La mia strada, Canne al vento, Mare d’erba e molti altri.
Spesso i quadri sono preceduti da innumerevoli scatti fotografici che poi vado a vedere e rivedere,cercando di ricordare la luce, la nebbia, sensazioni messe nel cassetto della memoria.
Ultimamente sono stata presa da musiche che interpreto con gesti e colori, come è capitato con una composizione mandatami da un amico musicista: Io porto alla mia soglia frutti rari o da musiche argentine, per cui sono nati Tango e Milonga.
La prima opera astratta in cui ho voluto dare la sensazione della perdita di certezze pittoriche, stavo cercando di passare dal figurativo all’astratto, fu Pathos. Ho reso il senso della mancanza di sicurezza raffigurando-a in una specie di scala a chiocciola che scende e non se ne vede la fine. Anche i colori sono cupi, solo qualche giallo illumina la via.
Dopo questo quadro in cui mi misi a piangere sia per lo sforzo creativo, non mi limitavo a copiare, ma era una cosa mia in cui rappresentavo sensazioni emotivamen-te forti, la scelta verso l’astratto fu un percorso obbligato.
Forse difficile da capire per i profani. In realtà è una strada, un racconto in cui io cerco di rendere partecipe l’osservatore delle mie esperienze, che in ogni caso so
no esperienze universali. Strada difficile, soprattutto se chi guarda è superficiale e non desidera mettersi in gioco nello sforzo di comprendere. È più facile dire: Non me ne intendo, che cercare di capire.
Da qui l’esigenza di accompagnare l’opera con poesie di autori famosi per indicare la grammatica della lettura del quadro. Ad un certo punto, presa dalla smania creativa, ho cominciato ad usare un nuovo materiale che mi è risultato congeniale: la cenere, quella del camino e della stufa di casa mia, amalgamandola con collanti, gesso e altro. La stendo in piano su una tela con spatole. Mi rendo conto di essere buffa. Io chinata a terra, con un cuscino sotto le ginocchia e per tavolozza un piatto di plastica pieno di una specie di “Impasto” che diluisco o amalgamo a seconda degli effetti desiderati. Divento una specie di “strega” che ha in mano pozioni magiche di sua composizione! Davanti a me, sempre sul pavimento, lo schizzo che precedentemente ho realizzato, che però vado a comporre/scomporre a seconda delle percezioni ed emozioni del mo
mento. In questi istanti mi trovo in uno stato di assenza temporale, vivo in una bolla solo mia. Poi man mano che il lavoro procede, mi allontano dalla tela, sia fisicamente che mentalmente, devo riprendere il senso critico. Questa materia, grumosa, mai piatta, diversamente colorata per sua natura a seconda della legna che si brucia, mi piace tantissimo. Occorre essere veloci nella stesura, non sono possibili correzioni; si screpola facilmente, creando effetti che io stessa vado a cercare. In più mi dà una bellissima sensazione, ovvero la tela è veramente parte di me, un’emanazione, un prolungamento della mia mano, opera viva.
Quando il tutto è ben asciutto, giorni dopo, la dipingo con colori ad olio che tuttavia si spengono perché una delle caratteristiche della cenere è che assorbendo il colore, lo smorza. È una purificazione degli eccessi della materia e dell’anima. È come se seccasse la tela, la invecchiasse di anni.
Tuttavia recentemente, sempre presa dall’irrequietezza, sono tornata al solo colore.
Ho tralasciato la cenere poiché volevo rendere sensazioni più sfavillanti, quasi tutte concentrate sul tema delle farfalle.
Perché questo soggetto? Se c’è un essere vivente in natura, leggero, leggiadro, vibrante, colorato, perfettamente simmetrico, è la farfalla, la cui vita è brevissima. Affascinata da tutto ciò, dal senso di libertà e di bellezza, pur effimera, ho eseguito parecchi quadri su questo argomento, ma anche altri su un diverso bellissimo e libero animale: il delfino.
Sicuramente il mio percorso non è finito.
Come scrisse Isabella Benaglia, giovane e brillante scrittrice mantovana, «io narro l’amore, verso i pianeti, le stelle, la natura, l’uomo...».

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